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Intervista a Tempesti. Signor 400 presenze

Pallanuoto
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Sta per varcare la soglia dell'esclusivissimo club dei 400. Lunedì, esordendo ai campionati europei contro la Germania, Stefano Tempesti raggiungerà Mr. 482 caps Carlo Silipo e pochi altri grandissimi della storia della pallanuoto italiana: i fratelli Alessandro (449) e Roberto Calcaterra (431), Mario Fiorillo (444), Fabio Bencivenga (425), l'assistente tecnico azzurro, nonché suo allenatore alla Pro Recco, Amedeo Pomilio (416), Alberto Angelini (416), Francesco Attolico (414), il vice presidente federale Francesco Postiglione (409) e il cittì Sandro Campagna (408). Trentasei anni compiuti il il 9 giugno scorso, il portierone di Prato ha legato la sua carriera a quattro squadre: la Futura in età giovanile, la RN Florentia per l'esordio in serie A1, la Pro Recco che ha contribuito a rendere il club più vincente della storia pallanotistica e il Settebello con cui festeggia i vent'anni "core a core". Il debutto non ufficiale in azzurro il 2 giugno a Bologna per un'amichevole tra Italia A e Italia B; quello ufficiale il 19 giugno 1997 ai Giochi del Mediterraneo di Bari con un pareggio 2-2 con la Grecia.


D. Ad un passo dalle 400 presenze. Come vivi questo momento?
R. Potrei essere modesto, mantenere un profilo basso e dire che l'importante è continuare a giocare con la stessa intensità e che è un traguardo naturale per il prolungarsi della carriera; invece no, la verità è che era un obiettivo che inseguivo con tanta determinazione, che mi interessava proprio e di cui sono felicissimo. Fino a qualche anno fa non ci pensavo; poi con l'avvicinarsi è cresciuto il desiderio di raggiungerlo. Le 400 presenze legittimano un ciclo importante ed un record che in pochi hanno raggiunto. Ne sono fiero.

D. Un traguardo che arriva nella stagione olimpica. Se il Settebello partecipasse ai Giochi di Rio potresti diventare il secondo pallanotista italiano a disputare cinque olimpiadi dopo il 65enne fiorentino Gianni De Magistris (tra il 1968 e il 1984 con l'argento a Montreal 1980). Un staffetta tutta toscana con il passaggio del testimone: quando lui smetteva di far gol nel 1987 tu cominciavi a parare.
R. Ho conosciuto De Magistris quando giocavo alla Futura Prato e destai l'interesse della RN Florentia. Jacopo Bologna mosse i fili dell'operazione e Gianni De Magistris si erse promotore del trasferimento. Allora era una figura di spicco della RN Florentia e mi esortò e convinse a compiere un passo difficile per un ragazzo di 12-13 anni che avrebbe lasciato affetti familiari ed amici per andare a giocare nella società antagonista numero uno in regione. Sono grato ad entrambi. Jacopo Bologna è rimasto un amico fraterno; essere accomunato a Gianni De Magistris mi riempie di orgoglio.


D. Col Settebello un argento olimpico, un oro e un argento mondiali, un argento e un bronzo europei e in World League, un argento in coppa del mondo; con la Pro Recco dieci scudetti e nove coppe Italia, cinque coppe dei campioni e sei supercoppe europee; con la RN Florentia una coppa delle coppe. Ma ricordi la prima partita ufficiale che hai disputato?
R. No. Non ne ho idea. Sicuramente giocavo in porta. Sono nato portiere. Forse la prima volta che ho giocato con giuria, col cognome a verbale, avevo 10-11 anni. Si parla di Futura Prato e di Tommaso Ciatti che insestette tantissimo affinché giocassi in porta. Mio fratello all'epoca era un portiere di calcio e i miei genitori consapevoli che si trattasse di un ruolo infame, stressante, erano contrari. Io ero un bambino, non avevo potere decisionale; così l'allenatore, sarà perché ero il più alto, perché venivo colpito più spesso dagli altri, perché dimostravo più anni, ha insistito e mi ha messo in porta sin dalla scuola pallanuoto.

D. Però ricordi la prima partita in A1. Vero?
R. Perfettamente. Era il 5 giugno 1994. RN Florentia-CC Ortigia. Playoff scudetto. Allenatore Jacopo Bologna perché Umberto Panerai era assente per motivi di lavoro. A 3' dalla fine vincevamo di 3 gol e mi fece esordire al posto di Luigi Di Palo. Sarà perché Jacopo mi ha sempre sentito un po' una sua creatura e forse perché voleva farmi debuttare nel massimo campionato. Comunque Tempestini fa gol; battono al centro, azione, palla al centroboa Kolotov, rigore. Tira Parodi e io paro. La prima palla che ho toccato in serie A è stata quella. Venne giù la piscina, piena di gente. Dovevo ancora compiere 15 anni e finii la partita imbattuto. Era sabato sera e i miei genitori mi portarono a mangiare una pizza. Festeggiai così. Non pensai chissà cosa; non avevo grandissime ambizioni o particolari sogni. Speravo di continuare a giocare in serie A. Quella era un'altra pallanuoto, non la immaginavi come lavoro. Anche perché, ad esclusione di rare eccezioni, dei De Magistis, Tempestini, Estiarte e Ferretti, chi giocava a pallanuoto non viveva di sport, ma aveva un lavoro principale. Spesso al mattino lavorava e la sera faceva allenamento, a volte anche doppi, ma comunque non rappresentava la fonte di guadagno prioritaria. La pallanuoto non era vista come la viviamo noi adesso. Era pura.


D. Quando hai acquisito coscienza della tua dimensione di atleta professionista di alto livello?
R. Vi racconto un aneddoto. Io e un mio caro amico e pallanotista di Prato, Andrea Guarducci, eravamo a Forte dei Marmi e mentre guardavamo la finale di Barcellona vinta dal Settebello di Campagna, Attolico, Pomilio sognavamo ad alta voce: "chissà quando giocheremo insieme all'Olimpiade? Ad Atlanta 1996 saremo ancora piccini, ma a Sydney ci potremo provare!". E il suo babbo, nell'altra stanza, scuoteva la testa e mormorava: "poveri grulli, senti che discorsi". Poi mi sono ritrovato a disputare l'Olimpiade di Sydney per davvero. E giù a ridere ogni volta che lo ricordiamo. Comunque penso che il passo decisivo della mia carriera sia stato il passaggio alla Pro Recco. Avevo già giocato e perso finali scudetto, vinto la coppa delle coppe; però ancora studiavo. Mi ero diplomato odontotecnico e frequentavo con scarsa costanza giurisprudenza. Finché non mi sono reso conto che avevo bisogno di una dimensione diversa per crescere come professionista e mettermi alla prova come atleta. La Rari era una grande famiglia; si lavorava benissimo, ma era una società a gestione familiare, peraltro eravamo quasi tutti di Firenze o toscani come me, Sottani, Vannini, Luccianti, Bruschini, Brazzatti. Tutti amici. Troppo amici. A Firenze è sempre stato tutto bellissimo. Andare via mi ha fatto soffrire molto, mi ha stracciato il cuore, ma se volevo trasformare la pallanuoto nel mio lavoro avevo bisogno di maggiori responsabilità, senza paracadute, senza giustificazioni, senza l'occhio buono che ti perdonava. La vicinanza ed il progetto mi hanno spinto a Recco. I primi anni sono stati difficili. Il CN Posillipo, che pure mi aveva cercato, vinse scudetto e coppa dei campioni. Io ebbi qualche difficoltà con i quadri tecnici, ma il management mi confermò e aprimmo il filotto di successi.

D. Qual è il successo che ricordi con maggiore trasporto?
R. La medaglia d'argento alle Olimpiadi di Londra, ma anche il primo scudetto, la prima Champions, l'oro mondiale di Shanghai che ha seguito anni difficili. Però aver disputato la finale olimpica; essere arrivati dove nessuno dopo Barcellona 1992 era riuscito; ebbene sì, è roba forte.

D. Qual è stato invece il momento più avvilente della tua carriera?
R. Le Olimpiadi di Pechino 2008 e i campionati mondiali di Roma 2009. Quel biennio lo cancellerei. Non sembrava esserci via di uscita malgrado gli sforzi prodotti. Come spiegare: non era come se avessi fallito un esame universitario malgrado avessi studiato; in quel caso ti rimbocchi le mani, provi a rimediare, ridai l'esame e lo superi. Non vedevo la luce alla fine del tunnel. E lì santo Campagna perché ci ha ridato la luce; ci ha trasmesso un'impostazione di lavoro che non sapevamo esistesse e potesse esistere. E santi Stefano e Maurizio Felugo che abbiamo raccolto l'eredità e gli insegnamenti di campioni affermati ed esemplari come i Silipo, Calcaterra, Attolico, Angelini e ci siamo detti: che si fa? Si continua a percorrere la strada tracciata negli ultimi anni senza raggiungere risultati o ci mettiamo al completo servizio di Campagna? Che detto così sembra facile, ma assicuro che all'inizio non lo è stato perché significava cambiare completamente approccio e modi di interagire nei confronto dello staff tecnico e dei compagni di squadra più giovani. Abbiamo avuto l'umiltà di azzerarci completamente e di metterci a completa disposizione di atleti di 20 anni, diventando faticosamente riferimento all'interno e all'esterno del gruppo.

D. Ti sei mai sentito il portiere più forte del mondo?
R. In alcuni momenti sì, senza falsa presunzione. Ma, proprio per il mio carattere introspettivo, preferisco che me lo dicano piuttosto che dichiararlo. E' come quando qualcuno ti dice che che sei uno furbo; vuol dire che ti ha sgamato e che non lo puoi più fregare. Invece no. Preferisco pensare di poter migliorare sempre o quanto meno di mantenermi il più a lungo possibile ad altissimi livelli.

D. Quali sono state la parata più significativa e la papera di cui ancora ti vergogni?
R. La parata più strana, che ricordo con piacere, è quella di piede su un rigore tirato da Gallo nella finale di coppa Italia del 2007. Eravamo sull'8-8 a metà terzo tempo; poi vincemmo allungando nell'ultimo parziale. Quella parata ha fatto il giro del mondo su internet. Il paperone, invece, mi ricoda un gol preso da porta a porta dall'amico Violetti. Mi sono distratto, vincevamo facile e mi ha fregato.

D. Qual è stato l'avversario che hai sofferto di più?
R. Sarà che ero a inizio carriera, ma Estiarte mi mandava ai matti. Era ovunque.

D. Ti sei mai ispirato a qualcuno?
R. Certo, al barese; il grande Attolico, il mio faro, con cui poi ho avuto la fortuna di condividere i successi in nazionale.

D. Saresti l'idolo sportivo di Stefano Tempesti e perché?
R. Sì, lo sarei. Perché penso che rappresenti quello di buono e puro che c'è nello sport. Il rispetto dei ruoli, la cultura sportiva. L'esempio che cercherei di mostrare ai miei figli affinché crescano sani e corretti.

D. Come vorresti la pallanuoto?
R. Penso che la pallanuoto abbia già raggiunto un livello di diffusione importante; ma io adoro questo sport e quindi vorrei che fosse gestito in maniera ancora più professionale e che fosse alla portata di tutti malgrado le chiare difficoltà logistiche; del resto si gioca in acqua, in impianti riscaldati con costi elevati per i gestori. Io credo nella la pallanuoto; penso sia uno sport che piace e che vende. Quando a casa si accende la televisione e si vende una piscina e un pallone difficilmente si cambia canale o comunque un'occhiata gliela si dà. Sul piano del gioco mi piace più questa pallanuoto rispetto a quella di 15 anni fa. Le riforme regolamentari l'hanno resa più dinamica, incerta, veloce, spettacolare. Tutto il mondo sportivo va in questa direzione. I fenomeni di un tempo, dal fisico meno muscolato come Estiarte o Fiorillo, potrebbero giocare ancora; certo dovrebbero adattarsi. Non so come se la caverebbe un creativo e burlone De Magistris. Probabilmente se facesse i suoi giochetti a difensori come Buric o Ivovic lo ammazzerebbero.

D. Le partite disputate nel mare di Capri con la Spagna e di Sydney con l'Australia hanno mostrato un volto della pallanuoto ancora entusiasmante e non sbiadito dai ricordi. Che ne pensi?
R. Sono state esperienze meravigliose, che hanno dimostrato come la pallanuoto attragga in qualsiasi stagione dell'anno. Abbinare esibizioni estive ai campionati invernali potrebbe essere un veicolo di promozione vincente. L'estate è sicuramente un periodo da sfruttare, anche per la mancanza di concorrenza. Del resto i campionati europei invernali non hanno lo stesso fascino di quelli estivi e tutte le manifestazioni internazionali si giocano tra giugno e agosto proprio perché hanno una maggiore attrattiva.

D. Cosa rappresenta per te la pallanuoto?
R. Senza retorica rappresenta la mia vita e mi ha permesso di essere quello che sono. Però crescendo ti accorgi che la vita non è solo la pallanuoto e che lo sport non è la priorità. Grazie a Dio ho una compagna, due figli che sono al centro della mia esistenza. La pallanuoto è un lavoro, è uno spettacolo ed ha un termine, anche se vorrei che fosse il più lontano possibile e non ho ancora nessuna intenzione di smettere.


D. Come sei cambiato negli anni?
R. A 15 anni sei pieno di sogni ed entusiasmo. A 20 sei pregiudicato. Verso i 25 cominciano le responsabilità; sei ancora inesperto e spensierato. C'è chi si sente arrivato, non riesce a misurarsi, rischia di fare il botto, si perde. C'è chi molla e chi si fortifica. A 30 anni comincia l'età delle riflessioni, dei primi bilanci e fissi degli obiettivi a cui prima non pensavi. A 35 vorresti avere la spensieratezza dei 20 e se potessi rivivresti gli anni precedenti con l'esperienza acquisita in carriera. Io penso di aver raggiunto obiettivi importati, tra alti e bassi, con determinazione, coraggio, sacrificio e... un po' di culo.

D. Cosa farà Stefano Tempesti da grande?
R. Ogni tanto penso al mio futuro e non so se resterò nell'ambiente. Ho cominciato a giocare 30 anni fa. Magari proverò a compiere un passo all'esterno delle piscine, anche per sperimentarmi, per capire se sono in grado di fare qualcosa che non abbia attinenza con la pallanuoto. O magari rinuncerò perché scoprirò di non avere ulteriori competenze. Chi lo sa. Dipenderà anche da cosa mi offriranno. Di certo resterò a Recco. La mia carriera da pallanotista finirà lì e continuerò a viverci. E' la mia dimensione. Per me, per la mia famiglia. C'è sempre il sole, fa caldo, tutto è a misura d'uomo, è tranquillo. Per il momento non penso di tornare a Firenze o a Prato anche se lì ho i miei affetti familiari, tanti amici e una bella casa.

D. Chi ti senti di ringraziare per la tua carriera?
R. Dovrei ringraziare tantissime persone, dimenticherei qualcuno e farei una figuraccia. Allora abbraccio simbolicamente tutti quelli che mi hanno sostenuto, insegnato e creduto in me. Ma soprattutto desidero ringraziare gli "Emili", i miei genitori Emilio ed Emilia, e mio fratello Alessandro, che sin dai primi momenti della mia carriera mi sono stati vicini assicurandomi supporto e fiducia condividendo momenti belli e brutti.

GLI AZZURRI OLTRE LE 400 PRESENZE
Carlo Silipo 482
Alessandro Calcaterra 449
Mario Fiorillo 444
Roberto Calcaterra 431
Fabio Bencivenga 425
Amedeo Pomilio ed Alberto Angelini 416
Francesco Attolico 414
Francesco Postiglione 409
Sandro Campagna 408


foto deepbluemedia.eu