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Assoluti Lifesaving per la ricerca scientifica. Live streaming

Salvamento
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Via alla tre giorni dei campionati assoluti primaverili di nuoto per salvamento allo Stadio del Nuoto di Riccione. Sono i primi post pandemia da Covid-19, i primi ad essere trasmessi interamente in streaming sul portale federale (batterie alle 8.30 e finali alle 17) e soprattutto sono solidali con la ricerca scientifica e nello specifico con l’associazione “Beat the Beat – Sostieni la ricerca. Sconfiggi il cuore aritmico”. Un grande gruppo di onlus che coinvolge le famiglie colpite da casi di cardiopatia aritmogena, che colpisce principalmente gli atleti. E’ il caso di Livia Elisa Fiori che in occasione della prima giornata di gare è stata inviata dal presidente della Sezione Salvamento Giorgio Quintavalle in qualità di testimone, al fine di informare e sensibilizzare al riguardo l’opinione pubblica e tutto il mondo dello sport.

Livia Elisa Fiori, azzurra di salvamento, atleta dei Nuotatori Milanesi, ha 19 anni e quattro mesi fa, il 24 gennaio, ha dovuto dire addio al nuoto a causa della cardiopatia aritmogena del ventricolo destro, una malattia genetica che colpisce un giovane su cinquemila che, se non diagnosticata, può portare alla morte improvvisa e della quale fino a qualche anno fa si sapeva ben poco. Definita “malattia degli sportivi”, la stessa che ci ha portato via i calciatori Davide Astori e Piermario Morosini.
Negli anni ’90 è stata scoperta e studiata dall’Università di Padova, la stessa che ha individuato un farmaco, già in uso per curare la distrofia muscolare, che blocca l’avanzare della malattia. Finora, però, si è trattato soltanto di terapie sintomatiche, ma non c’è una vera e propria cura di trattamento capace di intervenire sulle cause.
La ricerca medico scientifica è dispendiosa ed ha bisogno di contributi importanti. Anche per questo, e per diffondere e far conoscere la malattia, così da poter salvare altri giovani a rischio, il papà Leonardo (medico) e la mamma Tatiana (avvocato) sono impegnati in prima linea con una grande associazione che sostiene la ricerca. Il gruppo si chiama “Beat the Beat – Sostieni la ricerca. Sconfiggi il cuore aritmico” e si avvale della collaborazione di altre onlus, tra cui Geca di Padova e La stella di Lorenzo di Roma. E ce ne sono altre pronte ad unirsi.

Nel 2019, a 17 anni, Livia ha stabilito il record europeo youth dei 50 manichino che ancora detiene, ha esordito ai campionati primaverili di nuoto a Riccione e sempre a Riccione, a settembre, ha partecipato con la Nazionale giovanile ai campionati europei di salvamento. La sua carriera di atleta era in rampa di lancio. Due anni dopo, il 24 gennaio scorso il drammatico episodio che l’ha costretta a dover rinunciare al nuoto ma dal quale fortunatamente e per merito dell’intervento immediato del personale ospedaliero si è salvata.
Dal 1° febbraio, 12 giorni prima del suo 19simo compleanno, Livia ha con sé un defibrillatore sottocutaneo di nuova generazione che monitora il cuore e attraverso un collegamento bluetooth trasmette report settimanali.
Il 16 giugno avrà l’esame di maturità linguistica presso l’Istituto Pietro Verri di Milano. Se avesse continuato a nuotare probabilmente si sarebbe iscritta a Scienze della Gastronomia, ma la pasticceria resta la sua passione.
Ha deciso di dedicarsi con maggiore attenzione allo studio e si è preiscritta a Scienze della Comunicazione. Ha scritto anche una lettera, l’ultimo giorno in cui era in ospedale al Centro Cardiologico Monzino, in cui racconta la sua esperienza e che ci ha autorizzato a pubblicare.

Domenica 24 Gennaio ore 15:10, contentissima perché finalmente posso rivedere le mie amiche Lele e Cami.
Mi preparo per uscire, gonfio le ruote della bici e parto. Inizio a sentire le prime palpitazioni ma non me ne preoccupo, mi succede sempre quando nuoto e ormai sono convinta sia un problema psicologico. Arrivo 20 minuti dopo alle 15:30 circa, ma continuo a non sentirmi bene decido quindi di sedermi su una panchina. Inizia a girarmi la testa. Dopo 10 minuti, arrivano le mie amiche. Mi appoggio sulle gambe della Lele e metto le mie gambe in alto. Inizio a non riuscire più ad aprire gli occhi, sudo freddo e poi di colpo svengo. I ricordi diventano sensazioni. Lele chiama subito l’ambulanza e Cami chiama i miei genitori. Una enorme folla ci circonda. Arriva l’ambulanza e vengo portata con codice rosso al policlinico di Milano.
Dentro l’ambulanza il mio corpo si “sdoppia”. Una parte di me è straziata, urla e implora di non morire. Una parte di me sente in lontananza una voce famigliare, dolce e calda: è quella della mia mamma, che canta la
canzone che mi faceva addormentare da piccola.
Dopo 5 minuti, arriviamo al Policlinico. “Arresto cardiaco da fibrillazione ventricolare trattato con tre scariche di cardioversione elettrica.” Questo è quello che succede. Il mio cuore per un certo lasso di tempo decide di fermarsi, ma i medici riescono a farlo ripartire e dopo ore di buio i miei occhi rivedono la luce. Mi sveglio, sorrido e vedo i miei genitori. Capisco di avercela fatta.
Vengo trasferita al Monzino, uno dei migliori ospedali per il cuore in Europa, inizia la mia avventura, la mia rinascita, il mio cammino verso una nuova vita e verso la libertà.
Trascorro due giorni in terapia intensiva, terrorizzata e spaesata. Mi viene affidata lunedì mattina una infermiera, molto giovane, con una chioma di capelli ricci bellissima: piacere Valentina. Instauriamo subito un legame meraviglioso che riesce a rendere leggera una situazione di per sé straziante. Martedì vengo trasferita in emodinamica e mi viene comunicato che dovrò sottopormi ad un intervento di quattro ore: la Termoablazione. Con radiofrequenze vengono eseguite “bruciature” sui punti critici della superficie endocardica. Sono terrorizzata. La notte non chiudo occhio e la mattina piango fino a quando non mi addormentano per l’operazione. L’intervento va bene, ma mi dicono che dovrò sottopormi ad un altro intervento: impianto di defibrillatore ICD sottocutaneo. Due interventi nel giro di una settimana.
Ho vissuto un’esperienza straziante che mi ha messa alla prova ovviamente dal punto di vista fisico ma soprattutto psicologico. Se sono riuscita ad uscirne è grazie a tutti gli angeli custodi che ho incontrato nel mio percorso. Gli infermieri del Monzino che mi hanno fatta sentire come appartenente ad una grande famiglia. Ognuno di loro mi ha trattata come una figlia, hanno fatto di tutto per strapparmi ogni giorno un sorriso e per non farmi mai mancare niente. Siete persone con un cuore ENORME, date tutta la vostra vita per aiutare il prossimo e lo fate con un amore incomparabile. Oltre a loro ovviamente devo ringraziare la mia famiglia. Ho un fratello e dei genitori meravigliosi che mi amano senza riserve e che non mi hanno mai fatto mancare niente. Sono stati forti per me nascondendo le loro paure e insicurezze e non posso neanche immaginare cosa voglia poter dire perdere una figlia, una sorella, così all’improvviso. Inoltre, devo ringraziare la mia seconda famiglia. Tutti i miei amici. Tutte quelle persone che mi sono state vicine, mi hanno fatto sentire amata e mi hanno dato la forza, nei momenti più difficili, di non mollare.
Cami e Lele, io a voi cosa devo dire, se non grazie, grazie per la prontezza dimostrata, per aver chiamato subito l’ambulanza, per avermi permesso di continuare a vivere. Ma un grazie nel vostro caso non basterà mai ed io nei vostri confronti sarò sempre in debito perché voi a me avete fatto il regalo più grande: la vita.
Io sono consapevole del rischio che ho corso, ho rischiato di morire, a 18 anni la mia vita rischiava di essere interrotta. In genere in questi casi ci si chiede “perché a me?” A me perché sapevano che io ce l’avrei fatta, che ne sarei uscita, che avrei lottato con le unghie e con i denti per andare avanti e che non mi sarei arresa, lo sapevano che ero cazzuta, che a me perdere non piace e che nelle battaglie, quelle più difficili, do tutta me stessa. Il sorriso non me lo ha mai tolto nessuno e mai nessuno me lo toglierà, perché il sorriso sono io, fa parte del mio essere ma soprattutto come si fa ad essere tristi sapendo di aver visto la morte in faccia ma di essere sopravvissuta. Perché cazzo sono sopravvissuta, posso ancora respirare, posso ancora scrivere pagine del mio libro, posso ancora vivere. Non perdete tempo per le cagate, quando dicono che la vita è una è vero. Ve la portano via con niente e manco ve ne accorgete. Se una cosa non vi piace non fatela, non abbiate mai paura, cogliete l’attimo, vivetevela al meglio e ogni secondo, decimo, centesimo viveteveli con tutta la voglia e la grinta di spaccare il mondo. Usate tutto il tempo a vostra disposizione per fare qualcosa di grande e siate voi i protagonisti del vostro magnifico racconto e solo così arriverete alla fine del libro e direte: che bella storia.